Claudio Gentile, quando l’errore giudiziario è ‘doppio’
Subire un’ingiusta detenzione, un processo ‘lumaca’ e, addirittura, un doppio errore giudiziario. E avere ‘solo’ 43 anni: dei quali, gli ultimi dodici passati tra qualche giorno in cella, rimpalli processuali e un conto ancora aperto con la giustizia, un conto che rischia di pagare solo lui in una storia che all’inizio, nel ’99 coinvolge quasi una ventina di persone. Colpa di un errore di prescrizione che si è abbattuto solo su di lui.
Claudio Gentile, omonimo del noto calciatore che ha scritto la storia ai tempi di Maradona, ma con un destino molto diverso, è un dipendente della Provincia di Palermo. Quando scoppia la bufera che porterà al suo arresto, nel ’99, Claudio ha 31 anni e solo da quattro è in servizio come funzionario nel settore del controllo ambientale, dopo aver vinto il concorso nel ’95. E’ notte quando viene prelevato dalla sua abitazione, dove vive con la moglie e i suoi tre figli (una dei quali di pochissimi mesi), per essere condotto in carcere, con l’accusa di essere coinvolto in una serie di illeciti commessi nella fase di realizzazione di convenzioni stipulate dall’amministrazione provinciale con le cooperative sociali “La provvidenza” e “Madre Teresa di Calcutta”, per la fornitura di servizi vari, al fine di creare opportunità di lavoro a favore di soggetti svantaggiati. Dirigenti e soci delle cooperative convenzionate con la Provincia vengono arrestati nel giugno del ’99: l’inchiesta individua un giro di richieste di “pizzo” sulle buste paga e una serie di truffe alla Provincia, che avrebbe pagato retribuzioni non dovute o per prestazioni inferiori a quelle previste dai contratti.
Claudio passa qualche giorno in cella: ore che ancora oggi non vuole ricordare, tanto è stato lo choc di una vita normale e serena, spezzata improvvisamente dal destino giudiziario che lo coinvolge. Corruzione, associazione a delinquere e truffa sono i reati che vengono contestati a Gentile e agli altri: accuse, le prime due, da cui verrà assolto con formula piena nel 2009; non è così per il reato di truffa, per cui scatterà quel subdolo gioco della prescrizione che ora lo fa trovare faccia a faccia con un’altra giustizia. Infatti la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti, a poca distanza dalla sua assoluzione in quel processo, lo condanna a versare alla Provincia di Palermo circa 60mila euro, oltre agli interessi maturati nel frattempo e alla rivalutazione monetaria (oggi la cifra è salita a quota 75mila). La condotta dell’uomo viene ritenuta dai magistrati contabili “determinante” per la realizzazione della truffa. E ciò nonostante la deduzione, nel merito, dell’ “assenza di elementi” per affermare la sua “responsabilità amministrativa, atteso che i compiti di verifica e vigilanza sui lavori effettuati dalle cooperative, secondo quanto previsto nelle rispettive convenzioni, doveva essere svolto da altri soggetti”. Manca dunque, per i giudici d’Appello, un “rapporto diretto di causalità tra la condotta contestata” a Gentile e “il danno erariale”
Eppure questo particolare non viene tenuto in debito conto. Anzi, per la Corte dei Conti, l’assoluzione di Claudio dall’imputazione di corruzione “deve ritenersi irrilevante ai fini della contestazione di responsabilità amministrativa – si legge nelle carte processuali – atteso che, a prescindere dall’insufficienza di prova affermata dalla Corte di appello di Palermo, dell’effettiva commissione di questo reato da parte del Gentile”, non ci sono “margini di dubbio” circa il suo “contributo, la cui condotta appare determinante per la realizzazione della truffa ai danni dell’Amministrazione provinciale, e per la conseguente indebita liquidazione di corrispettivi a fronte di prestazioni lavorative non rese”. Ecco che allora per Claudio scatta il pignoramento del quinto dello stipendio come somma da versare allo Stato per le spese processuali.
Ma perchè deve essere l’unico a pagare? Gentile potrebbe rivalersi in un secondo momento sugli altri coimputati nel processo chiusosi con l’assoluzione, ma intanto è l’unico che dopo essere stato privato della libertà personale, ora viene privato di quella economica. “Un’assoluzione anomala – commenta Claudio Gentile – visto che dopo qualche mese da quella sentenza la vicenda si riapre davanti alla Corte dei Conti, che, dopo avermi ascoltato e visualizzato la mia memoria difensiva, riprendendo elementi già superati nel processo, dispone il mio rinvio a giudizio a febbraio del 2011”. Una vicenda dai contorni “misteriosi”, fa notare Gentile: “L’11 aprile del 2000 – racconta – la Procura palermitana trasmette alla Corte dei Conti la copia del rinvio a giudizio, ed è da quel momento che parte tutto, e quindi non per la mancata prescrizione a cui poi, la documentazione contabile si ricollega”. Altra “incongruenza” evidenziata da Gentile, il fatto che il giudice dell’udienza preliminare che ne aveva “disposto il rinvio a giudizio, Cristodaro Florestano, ricompare in un’altra fase processuale, perchè nel frattempo è diventato procuratore generale presso la Corte d’Appello”, chiamata a giudicarlo in secondo grado. “Quello che mi pare assurdo, è che in dieci anni di processo penale – incalza il protagonista della storia – nè il tribunale nè la corte d’appello mi abbiano mai notificato nulla. Siamo o non siamo in uno stato di diritto?”. Claudio chiede anche chiarimenti al suo avvocato, ma anche questa volta, il legale gli dice di non aver saputo mai nulla.
Ora il suo caso, passato nel lungo elenco di quelli seguiti dall’avvocato Gabriele Magno, presidente dell’Associazione vittime errori giudiziari Art.643, può avere due diverse vie d’uscita: “Mi resta da un lato il ricorso in Cassazione – spiega Gentile – e la revisione processuale, sempre che venga accolta”. Ma intanto, per lui, incombe il pignoramento, in una situazione familiare dove è soltanto lui a lavorare, con tre figli a carico e la preoccupazione di non arrivare a fine mese. “Quello che mi rattrista – afferma – sono le difficoltà che ho dovuto superare non da pubblico funzionario, ma prima di tutto da cittadino”. Ancora oggi, a lavoro, nonostante l’assoluzione, “vengo guardato con un’ombra di sospetto – racconta ancora – perchè basta finire sui giornali per portare un marchio che difficilmente ci si scrolla di dosso. Finire sui giornali per una condanna o un’assoluzione? Poco importa”. Dal 2006 al 2009, fa notare, “ho dovuto anche subire tre anni di sospensione dal servizio – prosegue – e se sommiamo l’anno in cui iniziò il processo, siamo a 4 anni di sospensione con un assegno al 50% . E’ stata dura rimanere un cittadino onesto”.
Dalle parole di Claudio, garbato e gentile, si legge quell’onestà di cui parla. Ha ancora fiducia, nonostante tutto, nella magistratura. Ed è ancora capace di commuoversi, quando ricorda, da buon siciliano quale è, l’onestà intellettuale di Falcone e Borsellino. Pensando a loro, e a chi subisce ogni giorno errori giudiziari, dice, “la sofferenza si attenua dietro lo humor che non ho mai perso”.
Valentina Marsella
Detenzione ingiusta e processi lumaca, due piaghe italiane in una storia che arriva dalla Sicilia.
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