CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO SECONDA SEZIONE
CAUSA OGARISTI c. ITALIA
(Ricorso no 231/07)
SENTENZA
STRASBURGO 18 maggio 2010
La presente sentenza diverrà definitiva alle condizioni stabilite dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Esso può subire modifiche nella forma.
SENTENZA OGARISTI c. ITALIA 1
Nella causa Ogaristi c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da :
Françoise Tulkens, presidente, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danut? Jo?ien?,
Nona Tsotsoria, I??l Karaka?, Kristina Pardalos, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliere di sezione, Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 27 aprile 2010, Emette la presente sentenza, adottata nella medesima data :
PROCEDURA
- La causa è stata promossa con ricorso (no 231/07) presentato contro la Repubblica italiana alla Corte il 18dicembre2006 da un cittadino del medesimo Stato, il sig. Alberto Ogaristi (« il ricorrente »), in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (« la Convenzione »).
- Il ricorrente è rappresentato dagli avvocati M. De Stefano e M. Biffa, del foro di Roma. Il governo italiano (« il Governo ») è rappresentato dal suo agente, sig.ra E. Spatafora e dal suo coagente, sig. N. Lettieri.
- Il ricorrente affermava in particolare che il procedimento penale condotto a suo carico non era stato equo.
- Il 1o settembre 2008, la Corte ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. Come previsto dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, essa ha inoltre deciso di esaminare al contempo la ricevibilità e il merito della causa.
- Il 1o settembre 2009, la presidente della camera ha altresì deciso di trattare il ricorso in via prioritaria, ai sensi dell’articolo 41 del regolamento della Corte.
2 SENTENZA OGARISTI c. ITALIA IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE 6. Il ricorrente è nato nel 1972 ed è attualmente detenuto nel
penitenziario di Roma-Rebibbia. 1. I procedimenti penali - La sera del 18 febbraio 2002, a Villa Literno (Caserta), X, cittadino italiano e Y, cittadino albanese, furono vittime di un attentato perpetrato con l’arma da fuoco da tre persone a bordo di una vettura. Al termine dell’agguato, X veniva ucciso ed Y gravemente ferito.
- Il 19 febbraio 2002, durante il suo ricovero in ospedale, Y dichiarava di riconoscere su due foto il ricorrente ed A, rispettivamente come colui che aveva sparato e come il conducente della vettura utilizzata nell’imboscata.
- Tra il 20 ed il 26 febbraio 2002, durante alcune conversazioni svoltesi all’interno della sua stanza d’ospedale ed intercettate dalla polizia, Y manifestava più volte l’intenzione di tornare in Albania il più presto possibile. Nelle conversazioni egli affermava altresì di essere riuscito a riconoscere gli autori dell’attentato, in particolare chi aveva sparato, e di temere ritorsioni a causa della sua testimonianza.
- In data 8 marzo 2002, Y effettuava il riconoscimento de visu del ricorrente.
- In data imprecisata, Y beneficiava di un programma di protezione testimoni, in quanto le autorità ritenevano che l’imboscata, di cui il medesimo era stato vittima, fosse legata alle lotte intestine tra clan mafiosi (camorra) di Villa Literno.
- Il 23 settembre 2002, tenuto conto del rischio che Y lasciasse il territorio, il ricorrente chiedeva la fissazione di una udienza ad hoc dinanzi al giudice per le indagini preliminari (« il GIP ») in presenza degli avvocati difensori (incidente probatorio) al fine di procedere all’audizione di Y ed al riconoscimento personale (ricognizione personale). Detta richiesta veniva rigettata.
- In data 5 ottobre 2002, Y, che nel frattempo si era recato in Albania per un periodo di vacanze, comunicava per telefono al responsabile del programma di protezione che egli non sarebbe rientrato in Italia, senza fornire ulteriori dettagli al riguardo. A seguito di tale conversazione, il 30 gennaio 2003, venivano revocate le misure di protezione.
SENTENZA OGARISTI c. ITALIA 3 - Il procedimento di primo grado
- Il 3 marzo 2003, il ricorrente ed A venivano rinviati a giudizio dinanzi alla corte d’assise di Santa Maria Capua Vetere per omicidio, tentato omicidio e porto abusivo d’armi, con l’aggravante di aver agito per favorire un’organizzazione criminale di tipo mafioso. La corte disponeva, fra l’altro, l’audizione di Y.
15.Poiché questi, dopo la sua partenza per l’Albania, risultava irreperibile, non era possibile notificargli la citazione a comparire. Di conseguenza, la corte, in base all’articolo 512 del codice di procedura penale (CPP), decideva di acquisire agli atti del procedimento le dichiarazioni rese da Y durante le indagini preliminari. - In seguito, in applicazione degli articoli 111 della Costituzione e 526 CPP, la corte d’assise concludeva che tali dichiarazioni non erano utilizzabili contro gli imputati. Essa riteneva che Y si fosse volontariamente sottratto all’esame da parte degli imputati e dei loro difensori.
- Con sentenza dell’8 marzo 2004, la corte d’assise assolveva il ricorrente ed A per non aver commesso il fatto loro contestato. Essa riteneva che, una volta dichiarate inutilizzabili le dichiarazioni di Y, non restava nel fascicolo alcun elemento atto a dimostrare la responsabilità penale degli imputati.
- I procedimenti d’appello e di cassazione
- Il 20 luglio 2004, la Procura proponeva appello. Essa affermava che la condotta di Y non dimostrava necessariamente la volontà di sottrarsi all’esame. Di conseguenza, l’articolo 526 CPP non trovava applicazione nel caso di specie e le dichiarazioni di Y dovevano essere utilizzate per decidere in merito alla fondatezza delle accuse mosse al ricorrente e ad A.
- Il ricorrente chiedeva la conferma della decisione di primo grado. Egli osservava che, quando Y aveva reso le sue dichiarazioni ai rappresentanti della Procura, in particolare in occasione del riconoscimento de visu effettuato l’8 marzo 2002, il medesimo aveva già manifestato l’intenzione di rientrare in Albania, il che dimostrava la volontà di evitare il confronto con il ricorrente e/o con il suo avvocato.
- In subordine, il ricorrente chiedeva alla corte d’assise d’appello di riaprire le indagini e di disporre l’audizione di Y.
4 SENTENZA OGARISTI c. ITALIA
21.Con sentenza del 3novembre 2005, la corte d’assise d’appello condannava il ricorrente all’ergastolo per tutti i capi di imputazione. In sostanza, la corte accoglieva la tesi della Procura, secondo la quale non era stata in alcun modo provata la volontà di Y di sottrarsi all’esame. Dopo aver affermato l’esigenza di sottoporre le dichiarazioni di Y ad un esame particolarmente rigoroso, dal momento che quest’ultimo non si era presentato alla pubblica udienza dibattimentale, la corte d’assise d’appello riteneva che le dichiarazioni in questione, in particolare quelle relative al riconoscimento del ricorrente, fossero precise e confermate dal verbale di ispezione dei luoghi redatto dai carabinieri. - La corte riteneva inoltre che le dichiarazioni dei testimoni a discarico fossero contraddittorie e che l’alibi fornito dal ricorrente non fosse né coerente, né convincente. Essa riteneva tuttavia di non dover applicare la circostanza aggravante di aver agito per favorire un’organizzazione di tipo mafioso.
23.Quanto ad A, la corte confermava la sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado e rilevava che Y aveva riconosciuto A soltanto in fotografia e che si era in seguito contraddetto più volte nella descrizione dei tratti somatici.
24.Il ricorrente proponeva ricorso per cassazione. Egli ribadiva essenzialmente gli argomenti basati sull’impossibilità di utilizzare le dichiarazioni di Y. - Con sentenza del 20 giugno 2006, il cui testo veniva depositato in cancelleria il 6 luglio 2006, la Corte di cassazione, ritenendo che la corte d’assise d’appello avesse motivato in modo logico e corretto tutti i punti contestati, rigettava il suddetto ricorso.
- Le richieste di revisione del ricorrente
- Il 5 febbraio 2008, un collaboratore di giustizia, Z, rendeva dichiarazioni spontanee sull’omicidio di X ed il tentato omicidio di Y. Egli affermava di aver partecipato all’agguato insieme ad A e ad altre tre persone, W, J, e Q. In particolare, Z indicava W come colui che aveva sparato, uccidendo X e ferendo Y. Egli forniva ulteriori dettagli sulla dinamica dei fatti a sostegno della sua versione. Le circostanze riferite da Z venivano successivamente confermate, sebbene in modo indiretto, da altri due collaboratori di giustizia.
- Sulla base di tali dichiarazioni, in data 19 maggio 2008, il procuratore generale presso la corte d’appello di Napoli chiedeva alla corte d’appello di Roma la revisione del processo a carico del ricorrente.
- Con ordinanza del 29 maggio 2008, la corte d’appello di Roma dichiarava inammissibile la richiesta, in quanto le circostanze citate non rientravano nei casi previsti dalla legge ai fini della revisione del processo penale.
SENTENZA OGARISTI c. ITALIA 5 - Il ricorrente proponeva ricorso per cassazione.
- Frattanto, il 22 gennaio 2009, il giudice per le indagini preliminari (« il GIP ») presso il tribunale di Napoli aveva disposto la custodia cautelare a carico di W, J e Q.
- Con sentenza del 4 febbraio 2009, depositata in cancelleria il 27 febbraio 2009, la Corte di cassazione annullava la decisione in questione e rinviava il procedimento alla corte d’appello di Perugia. Essa riteneva che la richiesta fosse basata su un’ipotesi di revisione prevista dalla legge e che la corte d’appello di Roma avrebbe dovuto di conseguenza valutare se le nuove dichiarazioni fossero tali da condurre all’assoluzione del ricorrente.
- Con ordinanza del 26 maggio 2009, la corte d’appello di Perugia riteneva che le dichiarazioni in questione potessero in linea di principio condurre alla revisione della sentenza di condanna emessa a carico del ricorrente. Tuttavia, essa osservava che l’assoluzione di quest’ultimo dipendeva dal definitivo accertamento della responsabilità penale di W, mentre non era ancora stata pronunciata a carico del medesimo nessuna condanna definitiva. Pertanto, la corte d’appello dichiarava inammissibile allo stato la richiesta di revisione.
- Con due ordinanze del 9 ottobre e 10 dicembre 2009, il giudice per le indagini preliminari (« il GIP ») del tribunale di Napoli ordinava il rinvio a giudizio rispettivamente, di Z, J, Q e W dinanzi alla corte d’assise di Santa Maria Capua Vetere per l’omicidio di X ed il tentativo di omicidio di Y. Le prime udienze venivano fissate al 2 dicembre 2009, per il procedimento a carico di Z, J e Q, ed al 15 gennaio 2010, per il procedimento contro W. In data 23 febbraio 2010, i procedimenti in questione erano ancora pendenti.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE - L’articolo 512 CPP sancisce :
« Il giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero e dal giudice nel corso della udienza preliminare quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione. » - Nel 1999, il Parlamento decideva di inserire il principio del giusto processo nella stessa Costituzione (si veda la legge costituzionale no 2 del 23 novembre 1999). L’articolo 111 della Costituzione, nella nuova formulazione e nelle parti pertinenti, sancisce :
« (…)Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato (…) abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico (…).La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore. La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita. »
6 SENTENZA OGARISTI c. ITALIA - A seguito della riforma costituzionale di cui sopra, l’articolo 526 CPP è stato modificato come segue :
« 1. Il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento.
1bis. La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore. »
IN DIRITTO
I. SULL’ECCEZIONE DEL GOVERNO - Il Governo osserva che è in corso dinanzi alle autorità giudiziarie nazionali un giudizio di revisione. Sebbene riconosca che tale giudizio non costituisce una via di ricorso interna da esaurire ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, il Governo ritiene che l’esito del giudizio di revisione possa costituire un motivo di cancellazione della causa dal ruolo. Esso sostiene al riguardo che, nel caso in cui il ricorrente venga rimesso in libertà, egli avrebbe diritto ad una riparazione per il danno subito a causa dell’errore giudiziario e dell’ingiusta detenzione.
- Pertanto, il Governo chiede alla Corte di sospendere l’esame del ricorso in attesa dello svolgimento del giudizio di revisione.
- La Corte rileva innanzi tutto che, con decisione del 26 maggio 2009, la corte d’appello di Perugia dichiarava allo stato inammissibile la richiesta di revisione, in quanto la responsabilità penale di W non era stata definitivamente accertata con sentenza passata in giudicato.
- Orbene, la Corte non può formulare ipotesi sull’esito del procedimento penale in corso a carico di W, né a fortiori sulla durata dello stesso, tenuto conto della natura strutturale del problema della lentezza dei processi in Italia (si vedano Bottazzi c. Italia [GC], no 34884/97, CEDU 1999-V ; Simaldone c. Italia, no 22644/03, CEDU 2009-…). D’altronde, in data 23 febbraio 2010, il procedimento penale in questione era ancora pendente in primo grado dinanzi alla corte d’assise di Santa Maria Capua Vetere, in quanto la prima udienza era stata fissata al 15 gennaio 2010 (precedente paragrafo 33).
- Di conseguenza, l’eccezione del Governo deve essere rigettata.
SENTENZA OGARISTI c. ITALIA 7
II. SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE - Il ricorrente lamenta di non aver avuto l’opportunità di esaminare o far esaminare Y. Egli invoca l’articolo 6 §§ 1 e 3 della Convenzione, il quale, nelle parti pertinenti, sancisce :
« Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. »
(…) - In particolare, ogni accusato ha diritto di :
(…)
d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico alle stesse condizioni dei testimoni a carico ;
(…). »
A. Sulla ricevibilità - La Corte osserva che il motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non ravvisa nessun altro motivo di irricevibilità. Esso deve dunque essere dichiarato ricevibile.
B. Nel merito - Argomenti delle parti
a) Il Governo - Il Governo riconosce l’importanza del diritto, garantito dalla Convenzione, di esaminare o far esaminare i testimoni a carico durante il dibattimento. Esso aggiunge che gli articoli 512 e 526 CPP si ispirano al medesimo principio, poiché prevedono la possibilità di utilizzare le dichiarazioni rese durante le indagini preliminari solo in circostanze eccezionali.
- Tuttavia, a parere del Governo, detto principio deve essere applicato con una certa elasticità, raggiungendo un giusto equilibrio tra la tutela dei diritti della difesa e l’esigenza dell’efficacia della lotta alla criminalità. Ne consegue che la necessità di un confronto diretto tra l’accusatore e l’accusato e/o l’avvocato di quest’ultimo deve essere valutata caso per caso.
8 SENTENZA OGARISTI c. ITALIA - Nel caso di specie, il ricorrente è stato debitamente informato del contenuto delle dichiarazioni di Y ed ha dunque avuto la possibilità di rispondere in dibattimento agli argomenti del medesimo. Ciononostante, il ricorrente non avrebbe indicato nessun elemento volto a mettere in dubbio la credibilità di Y o ad inficiarne in qualche maniera le affermazioni.
- In tali condizioni, il Governo non vede come un tale confronto avrebbe potuto apportare nuovi elementi alle indagini. D’altronde, come si evince dalle motivazioni della sentenza d’appello, le dichiarazioni di Y sono state sottoposte ad un esame particolarmente approfondito e scrupoloso.
- Inoltre, il Governo ritiene che l’assenza di Y fosse giustificata dalla minaccia di rappresaglie da parte di una delle associazioni per delinquere più pericolose d’Italia (camorra) e che detta assenza non avrebbe potuto cagionare la paralisi dei procedimenti penali, la cui opportunità sfugge al controllo della Corte. Esso invoca al riguardo la giurisprudenza della Corte nella causa Sofri ed altri c. Italia ((dec.), no 37235/97, CEDU 2003-VIII).
- Per il resto, il Governo sottolinea che la condanna del ricorrente non si basa esclusivamente sulle dichiarazioni di Y, bensì anche su altri elementi, quali il verbale di ispezione dei luoghi redatto dai carabinieri, nonché sul fatto che il ricorrente avesse fornito alle autorità un alibi dubbio.
- A sostegno della sua tesi, il Governo ricorda la giurisprudenza della Corte in cause analoghe contro l’Italia. Esso ritiene che le circostanze del caso di specie presentino delle analogie con le cause Carta c. Italia (no 4548/02, 20 aprile 2006), Bracci c. Italia (no 36822/02, 13 ottobre 2005), e Raniolo c. Italia ((dec.), no 62676/00, 21 marzo 2002), nella misura in cui, in queste cause, la Corte ha valutato che le condanne dei ricorrenti si basassero su ulteriori prove diverse dalle dichiarazioni dei testimoni, i quali erano divenuti irreperibili (Bracci c. Italia e Raniolo c. Italia) o avevano mantenuto il silenzio durante il dibattimento pubblico (Carta c. Italia). In particolare, il Governo sostiene che tali prove non fossero in alcun modo più importanti rispetto a quelle utilizzate nella presente causa per corroborare le dichiarazioni di Y. Inoltre, il presente ricorso si distinguerebbe dalle due cause A.M. c. Italia (no 37019/97, CEDU 1999-IX) e Majadallah c. Italia (no 62094/00, 19 ottobre 2006), nelle quali la Corte ha ravvisato delle violazioni della Convenzione, in quanto nelle citate cause non vi era il minimo elemento di prova supplementare.
b) Il ricorrente - Il ricorrente contesta la tesi del Governo in merito alla necessità di esaminare Y in pubblico dibattimento. Egli afferma che non è possibile formulare ipotesi sullo svolgimento e sull’esito di un confronto diretto fra lui stesso ed Y.
SENTENZA OGARISTI c. ITALIA 9 - Inoltre, a parere del ricorrente, la necessità di tale confronto non è per nulla diminuita in ragione del contesto mafioso dei reati, per i quali egli è stato condannato. Al contrario, tale circostanza avrebbe dovuto condurre i giudici ad una maggiore prudenza nella valutazione delle prove. D’altronde, egli ricorda che le autorità giudiziarie interne non hanno riconosciuto a suo carico la circostanza aggravante di aver agito per favorire un’organizzazione di tipo mafioso.
- Il ricorrente confuta altresì gli argomenti del Governo, secondo i quali le dichiarazioni di Y non sarebbero state determinanti, ed afferma che la sua condanna era invece fondata esclusivamente su dette affermazioni. Al riguardo, egli cita la sentenza di assoluzione di primo grado, nella quale si legge che, eccettuate le dichiarazioni di Y, gli atti del procedimento non contenevano nessun altro elemento atto a dimostrare la responsabilità penale degli imputati.
- Infine, il ricorrente tiene a sottolineare l’impossibilità di esaminare o controesaminare l’unico teste a carico, non solo durante le indagini preliminari ed il processo pubblico, ma anche nel corso un’udienza ad hoc dinanzi al giudice per le indagini preliminari (« il GIP ») in presenza degli avvocati della difesa (incidente probatorio). Egli sostiene che il Governo non si è espresso sul punto.
- Valutazione della Corte
- Poiché le esigenze del paragrafo 3 rappresentano aspetti particolari del diritto ad un equo processo garantito dal paragrafo 1 dell’articolo 6, la Corte esaminerà le doglianze del ricorrente sotto il profilo di questi due testi combinati (si veda, tra le altre, Van Geyseghem c. Belgio [GC], no 26103/95, CEDU 1999-I, § 27).
- La Corte ricorda di non essere competente a pronunciarsi sull’ammissione di dichiarazioni testimoniali come prove ovvero sulla colpevolezza del ricorrente (Lucà c. Italia, no 33354/96, § 38, CEDU 2001- II, e Khan c. Regno-Unito, no 35394/97, § 34, CEDU 2000-V). La missione affidata alla Corte dalla Convenzione consiste unicamente nell’appurare se il procedimento, considerato nel suo insieme, incluse le modalità di presentazione dei mezzi di prova, sia stato equo e se siano stati rispettati i diritti della difesa (De Lorenzo c. Italia (dec.), no 69264/01, 12 febbraio 2004).
- Gli elementi di prova devono in linea di principio essere prodotti in presenza dell’imputato ed in pubblica udienza, ai fini di un dibattimento in contraddittorio. Tale principio conosce delle eccezioni, le quali possono tuttavia essere accettate solo se vengono fatti salvi i diritti della difesa; di norma, i paragrafi 1 e 3 d) dell’articolo 6 prevedono che l’accusato abbia occasione adeguata e sufficiente di contestare una testimonianza a carico e di esaminarne l’autore, al momento della deposizione o in seguito (Lüdi c. Svizzera, sentenza del 15 giugno 1992, serie A no 238, p. 21, § 49, e Van
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Mechelen ed altri c. Paesi-Bassi, sentenza del 23 aprile 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-III, p. 711, § 51). - Al riguardo, come la Corte ha precisato più volte (si vedano, tra le altre, Isgrò c. Italia, sentenza del 19 febbraio 1991, serie A no 194-A, p. 12, § 34, e Lüdi, cit., p. 21, § 47), in alcune circostanze può rendersi necessario per le autorità giudiziarie ricorrere a deposizioni rese nella fase delle indagini preliminari. Se l’imputato ha avuto occasione adeguata e sufficiente di contestare dette deposizioni, nel momento in cui sono state rese o in seguito, il loro utilizzo non è di per sé contrario all’articolo 6 §§ 1 e 3 d). Tuttavia, i diritti della difesa risultano limitati in modo incompatibile con le garanzie dell’articolo 6, nel caso in cui una condanna si basi, unicamente o in misura determinante, su deposizioni rese da una persona che l’imputato non ha potuto esaminare o far esaminare, né durante le indagini preliminari, né in dibattimento (Lucà cit., § 40, A.M. c. Italia, no 37019/97, § 25, CEDU 1999-IX, e Saïdi c. Francia, sentenza del 20 settembre 1993, serie A no 261-C, pp. 56-57, §§ 43-44).
- Nel caso di specie, il ricorrente è stato condannato per l’omicidio di X, il tentato omicidio di Y e porto abusivo di armi. Il suo accusatore, Y, non si è presentato in dibattimento e le dichiarazioni dal medesimo rese durante le indagini preliminari sono state acquisite agli atti del fascicolo e utilizzate per decidere della fondatezza dei capi di imputazione (precedenti paragrafi 15-21).
- La Corte rileva che la possibilità di utilizzare le dichiarazioni rese prima del dibattimento da testimoni divenuti irreperibili era prevista dall’articolo 512 CPP, nella versione in vigore all’epoca dei fatti. Tuttavia, tale circostanza non può privare l’imputato del diritto, riconosciuto dall’articolo 6 § 3 d), ad esaminare o far esaminare in contraddittorio ogni elemento di prova sostanziale a carico (Craxi c. Italia, no 34896/97, § 87, 5 dicembre 2002).
- Nella presente causa, non è stato possibile procedere ad un confronto diretto tra il ricorrente ed il suo accusatore né durante il processo pubblico, né durante le indagini preliminari. In particolare, nel corso di queste ultime, le autorità giudiziarie interne hanno rigettato la domanda del ricorrente, volta ad ottenere la fissazione di una udienza ad hoc dinanzi al giudice per le indagini preliminari (« il GIP »), in presenza degli avvocati della difesa (incidente probatorio), al fine di interrogare Y e di procedere ad una ricognizione personale. In seguito, Y rientrava in Albania e si rendeva irreperibile.
- D’altronde, poiché la Convenzione impone di concedere all’imputato occasione adeguata e sufficiente di contestare una testimonianza a carico e di interrogarne l’autore, la Corte non può formulare a priori ipotesi sull’esito dell’eventuale confronto.
- La Corte rileva che le autorità giudiziarie nazionali, oltre che sulle dichiarazioni in questione, hanno basato la condanna del ricorrente sul
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verbale di ispezione dei luoghi redatto dai carabinieri, nonché sul fatto che le testimonianze a discarico e l’alibi fornito dall’interessato apparivano contraddittori (precedenti paragrafi 21 e 22). Tuttavia, è giocoforza constatare che, come risulta dalla motivazione della sentenza d’appello, tali elementi appaiono idonei più che altro a corroborare le dichiarazioni di Y, le quali hanno avuto un peso decisivo nella condanna del ricorrente. - Inoltre, la stessa corte d’assise di Santa Maria Capua Vetere, in occasione della sentenza di assoluzione di primo grado, ha osservato che, oltre alle dichiarazioni di Y, il fascicolo non conteneva nessun altro elemento atto a dimostrare la responsabilità penale degli imputati (precedente paragrafo 17).
- In queste condizioni, la Corte ritiene che i giudici nazionali abbiano basato la condanna del ricorrente esclusivamente o almeno in misura determinante sulle dichiarazioni rese da Y prima del processo (si vedano, mutatis mutandis, Jerinò c.Italia (dec.), no27549/02, 7 giugno 2005; Bracci c. Italia, cit., §§ 57 e 58 ; Majadallah c. Italia, cit.; a contrario, Carta c. Italia, no 4548/02, 20 aprile 2006, § 52).
- Considerato quanto precede, la Corte giunge alla conclusione che il ricorrente non abbia beneficiato di un equo processo ; di conseguenza vi è stata violazione dell’articolo 6 §§ 1 e 3 d) della Convenzione.
III. SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE IN CONNESSIONE CON L’ARTICOLO 6 - Il ricorrente ritiene di essere stato discriminato rispetto al suo coimputato. Egli invoca l’articolo 14 della Convenzione, in connessione con l’articolo 6 § 1, i quali sanciscono :
Articolo 6 § 1 :
« 1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale indipendente ed imparziale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. (…). »
Articolo 14 :
« Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella (…) Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate su sesso, razza, colore, lingua, religione, opinioni politiche od ogni altra opinione, origine nazionale o sociale, appartenenza ad una minoranza nazionale, ricchezza, nascita o ogni altra condizione. » - La Corte ricorda che l’articolo 14 vieta di trattare in modo differente, salvo giustificazione obiettiva e ragionevole, delle persone che si trovino in situazioni analoghe (Odièvre c. Francia [GC], no 42326/98, § 55, CEDU 2003-III e Salgueiro da Silva Mouta c. Portogallo, no 33290/96, § 26,
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CEDU 1999-IX). La Corte ricorda altresì, sotto il profilo dell’articolo 6, che il suo compito non è quello di sostituirsi alle autorità giudiziarie interne. Spetta in primo luogo alle autorità nazionali, ed in particolare alle corti ed ai tribunali, l’interpretazione della legislazione interna e la valutazione dei fatti e delle prove (si vedano, tra le altre, Brualla Gómez de la Torre c. Spagna, sentenza del 19dicembre 1997, Raccolta 1997-VIII, p.2955, §31, e Edificaciones March Gallego S.A. c. Spagna, sentenza del 19 febbraio 1998, Raccolta 1998-I, p. 290, § 33). - Nel caso di specie, la Corte rileva che il ricorrente non ha dimostrato che la sua situazione fosse simile a quella del coimputato A. Essa osserva che l’assoluzione di quest’ultimo deriva dal fatto che la corte d’assise d’appello di Napoli ha ritenuto che le dichiarazioni rese da Y nei confronti di A, a differenza di quelle concernenti il ricorrente, non fossero né credibili, né precise, tenuto conto del fatto che Y aveva riconosciuto A solo in fotografia.
- In tali condizioni, la Corte non può concludere che vi sia stata violazione dell’articolo 14 per il semplice fatto che, nello stesso procedimento penale o in procedimenti penali connessi, alcuni imputati sono stati assolti ed altri condannati (si veda, mutatis mutandis, De Lorenzo c. Italia, cit., 12 febbraio 2004).
- Ne consegue che tale motivo di ricorso è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e deve essere rigettato in applicazione del paragrafo 4 della medesima disposizione.
IV. SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE - Il ricorrente sostiene che l’impossibilità di ottenere l’audizione di Y costituisce un trattamento inumano e degradante. Egli invoca l’articolo 3 della Convenzione, di cui segue il testo :
« Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti. » - La Corte ricorda che, ai fini dell’applicazione dell’articolo 3, un trattamento deve raggiungere un livello minimo di gravità. La valutazione di tale livello minimo è di per sé relativa; essa dipende dall’insieme dei dati di causa, in particolare dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici e/o mentali, nonché talvolta dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima (Assenov e altri c. Bulgaria, sentenza del 28 ottobre 1998, Raccolta 1998-VIII, p. 3288, § 94). In questa prospettiva, non è sufficiente che il trattamento comporti degli aspetti sgradevoli (Guzzardi c. Italia, sentenza del 6 novembre 1980, serie A no 39, p. 40, § 107). In linea di principio, un trattamento è « degradante » quando esso è idoneo ad ispirare alle sue vittime sentimenti di paura, angoscia ed inferiorità, tali da umiliarle ed
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avvilirle (si veda, ad esempio, Kudla c. Polonia [GC], no 30210/96, § 92, CEDU 2000-XI). - Nel caso di specie, la Corte non vede come l’impossibilità di esaminare Y potrebbe costituire un trattamento che raggiunga il livello minimo di gravità richiesto ai fini dell’applicazione dell’articolo 3 della Convenzione.
- Ne consegue che tale motivo di ricorso è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e deve essere rigettato in applicazione del paragrafo 4 della medesima disposizione.
V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE - Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
« Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa. »
A. Danni - Il ricorrente afferma innanzi tutto di trovarsi in una situazione familiare ed economica drammatica, in quanto detenuto con una moglie ed una figlia minore a carico.
- Egli sottolinea inoltre che il diritto interno non prevede la riapertura del processo penale, a seguito della constatazione di violazione da parte della Corte.
- Tenuto conto di quanto precede, egli chiede la somma di 200 euro per ogni giorno di detenzione sino alla pronuncia della sentenza della Corte che accerta la violazione e fintanto che, a seguito di una riforma legislativa, non sarà adottata una decisione di revisione della sua condanna.
- Il Governo ritiene del tutto prive di fondamento le richieste del ricorrente in relazione al danno, visto che nulla lascia ritenere che l’interessato sarebbe stato assolto in assenza dell’addotta violazione. Il Governo ritiene illecito concedere un’equa soddisfazione a causa di un periodo detentivo espiato a seguito di una condanna comminata da un tribunale competente. In ogni caso, esso è del parere che la semplice constatazione di violazione fornirebbe di per sé un’equa soddisfazione sufficiente.
- La Corte osserva che il ricorrente non ha fornito alcuna prova relativa a qualsivoglia danno materiale. Di conseguenza, non può essere concessa alcuna somma a tal titolo. Essa ritiene invece che l’interessato abbia subito un danno morale certo. Tenuto conto delle circostanze della
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causa e deliberando in via equitativa, ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione, essa decide di concedere all’interessato la somma di 15 000 euro. - Quando la Corte conclude che la condanna di un ricorrente sia stata pronunciata al termine di un procedimento non equo, essa ritiene in linea di principio che la riparazione più adeguata consista in un nuovo giudizio del ricorrente, promosso su richiesta del medesimo, in tempo utile e nel rispetto delle esigenze dell’articolo 6 (si veda, mutatis mutandis, Somogyi c. Italia, cit., § 86, 18 maggio 2004, e Gençel c. Turchia, cit., § 27, 23 ottobre 2003).
B. Spese - Il ricorrente chiede 40 000 euro per le spese sostenute a livello interno, unitamente ad ogni altra somma eventualmente dovuta a titolo di imposta sul predetto importo. Quanto alla procedura dinanzi alla Corte, il ricorrente si rimette al giudizio della stessa.
- Il Governo sostiene che le spese relative al procedimento interno sono state sostenute nell’ambito del procedimento penale e non sussiste alcuna relazione tra le stesse e la violazione dell’articolo 6 della Convenzione. Quanto alle spese sostenute per la procedura di Strasburgo, il Governo contesta le pretese del ricorrente.
- La Corte ricorda che, secondo la propria giurisprudenza, le spese possono essere rimborsate a norma dell’articolo 41 solo qualora esse siano certe, risultino necessarie ed il loro importo sia ragionevole (Can e altri c. Turchia, no 29189/02, del 24 gennaio 2008, § 22). Inoltre, le spese di giustizia sono rimborsabili solo se relative alla violazione constatata (si veda, ad esempio, Beyeler c. Italia (equa soddisfazione) [GC], no 33202/96, § 27, 28 maggio 2002 ; Sahin c. Germania [GC], no 30943/96, § 105, CEDU 2003-VIII).
- La Corte constata che il ricorrente non ha presentato alcuna distinta dettagliata delle spese di cui chiede il rimborso, né ha prodotto alcun documento giustificativo delle stesse; essa decide pertanto di non concedere alcuna somma a tale titolo.
C. Interessi di mora - In relazione agli interessi di mora, la Corte reputa opportuno applicare il tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, aumentato di tre punti percentuali.
SENTENZA OGARISTI c. ITALIA 15 PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITA’, - Dichiara ricevibile il ricorso per quanto concerne la doglianza basata sull’articolo 6 §§ 1 e 3 d) della Convenzione ed irricevibile per le restanti parti ;
- Afferma che vi è stata violazione dell’articolo 6 §§ 1 e 3 d) della Convenzione ;
- Afferma a) che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi dal giorno in cui la presente sentenza diverrà definitiva ai sensi dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, la somma di 15 000 euro (quindicimila) per il danno morale, unitamente ad ogni altra somma eventualmente dovuta a titolo di imposta; b) che a partire dalla scadenza del suddetto termine e fino al versamento, la predetta somma sarà maggiorata da un interesse semplice, il cui tasso sarà pari a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, applicato nel periodo in questione, aumentato di tre punti percentuali ;
- Rigetta la demanda di equa soddisfazione per le restanti parti. Fatto in francese, poi comunicato per iscritto in data 18 maggio 2010, in
applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.
Sally Dollé Cancelliere
______________________ Per traduzione conforme1 La traduttrice Anna Aragona
1 A cura del Ministero della Giustizia.
Françoise Tulkens Presidente