Ingiusta detenzione, ddl per la retroattività del risarcimento
“L’onorevole Rita Bernardini, del gruppo radicali-Pd, ha presentato in questi giorni un disegno di legge su l’introduzione della applicabilità retroattività dell’istituto dell’equa riparazione per l’ingiusta detenzione”. Lo rende noto Giulio Petrilli del Pd dell’Aquila.
“Questo istituto entrato in vigore nell’ottobre 1989, era precluso a coloro i quali, dopo un periodo detentivo erano stati assolti con sentenza definitiva prima di quella data.
In sintesi, prima di quella data, coloro che dopo il carcere venivano giudicati innocenti, non potevano avere nessuna forma di risarcimento.
Ora la proposta di legge de l’onorevole. Bernardini – dichiara Petrilli – tende a riparare questa clamorosa ingiustizia e ristabilire il criterio che una siffatta norma deve essere retroattiva, anche perché il carcere può produrre e produce danni indelebili che neanche il tempo e gli anni possono attenuare e il diritto alla riparazione non può essere datato.
Questo disegno di legge tende anche a rendere visibili i tanti errori giudiziari, di cui purtroppo è costellata la nostra storia giudiziaria.
Le vittime degli errori giudiziari quasi sempre sono dimenticati – conclude Petrilli – e molto spesso il clamore dell’arresto sovrasta nettamente il silenzio dell’assoluzione e ci si ritrova da soli a rimarginare delle ferite profonde”.
ECCO IL TESTO DEL DISEGNO DI LEGGE
Atto Camera n. 3158, depositato il 1 febbraio 2010 da l’On. Rita Bernardini (gruppo radicali-Pd)
DISEGNO DI LEGGE
Introduzione dell’art. 315-bis del codice di procedura penale, in materia di applicabilità retroattiva dell’istituto dell’equa riparazione per ingiusta detenzione
Onorevoli Colleghi! – L’introduzione nel nostro ordinamento giuridico dell’istituto dell’ “equa riparazione per l’ingiusta detenzione”, operata dagli articoli 314 e 315 del codice di procedura penale del 1988, rappresenta il riconoscimento, a livello normativo, di un principio elementare di civiltà giuridica, in base al quale a chi sia privato ingiustamente della libertà personale deve riconoscersi una congrua riparazione per i danni morali e materiali patiti.
Il ritardo con il quale il legislatore è pervenuto a una formulazione della disciplina dell’istituto dell’equa riparazione ha alle spalle una storia lunga e tormentata che parte dal XVIII secolo e arriva al 1988, quando il DPR n. 447 ha approvato il nuovo codice di procedura penale che ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto dell’equa riparazione per ingiusta detenzione, disciplinato agli articoli 314 e 315. La dottrina italiana non ha mancato di rilevare come in realtà il vuoto normativo, antecedente alla promulgazione del nuovo codice di procedura penale, fosse grave, soprattutto in un sistema giuridico in cui la libertà personale è considerata un diritto primario. Trattasi dunque di una prima conquista, o forse riconquista, di un minimo di dignità del sistema complessivo.
La privazione della libertà personale, bene assoluto e passibile di compressione soltanto al verificarsi di determinate condizioni prefissate dalla legge, appare infatti giustificabile (o meglio: obbligata) solo a seguito di una sentenza che accerti definitivamente la penale responsabilità. L’impiego dello strumento custodiale nel corso del procedimento (indagini preliminari e giudizio), volto alla verifica della attribuibilità di una violazione della norma penale all’indagato-imputato, dovrebbe costituire un rimedio assolutamente estremo. Questo anche in considerazione del fatto che spesso la custodia cautelare rappresenta il vero e unico momento afflittivo dell’intera vicenda processuale. Il diritto alla riparazione spetta quindi a chi sia stato detenuto, prima della pronuncia di un provvedimento giudiziale irrevocabile e sorge non per il mero fatto della detenzione, bensì perché questa assume la qualificazione di ingiustizia a seguito di una sentenza irrevocabile di proscioglimento con una delle formule elencate nell’art. 314, comma 1, codice di procedura penale.
La normativa attuale è però palesemente ingiusta e discriminatoria nel momento in cui non consente al cittadino di chiedere l’equa riparazione nel caso in cui il procedimento giudiziario che lo riguarda sia divenuto irrevocabile prima dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale. La predetta preclusione, oltre a difettare di ragionevolezza, è inaccettabile e contrasta con l’art. 24, comma 4, della Costituzione, che assegna un rilievo primario alla inviolabilità della libertà personale, nonché con importanti trattati internazionali che prevedono il diritto alla riparazione, quali la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e il Patto internazionale sui diritti civili e politici.
L’ingiustizia della detenzione è un evento fortemente traumatico per tutti, segna per sempre la personalità dell’individuo e comporta la rinuncia volontaria a tutta una serie di possibilità che vengono azzerate automaticamente: sotto questo profilo dovrebbe essere assolutamente irrilevante lo stabilire il momento in cui è intervenuta l’irrevocabilità del provvedimento giudiziale.
La presente proposta di legge, pertanto, composta di un unico articolo, intende estendere il diritto all’equa riparazione anche nei casi in cui la custodia cautelare sia stata interamente sofferta nell’ambito di un rapporto processuale esauritosi alla data di entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale. Al fine di assicurare la stabilità dei rapporti giuridici e la certezza del diritto, il nuovo articolo 315-bis, al secondo comma, prevede che in questi casi: a) il diritto alla riparazione non è trasmissibile agli eredi; b) i ricorsi volti ad ottenere il relativo indennizzo devono essere presentati, a pena di inammissibilità, nella cancelleria della Corte di Appello competente entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge.
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1
1- Dopo l’art. 315 del codice di procedura penale, è aggiunto il seguente:
“315-bis ( Applicabilità retroattiva dell’istituto)
1- La domanda di equa riparazione per ingiusta detenzione può essere proposta anche con riferimento a procedimenti giudiziari che risultano definiti con sentenza divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del codice di procedura penale di cui al D.P.R. 22 settembre 1988 n. 447.
2- La domanda di cui al comma precedente non è trasmissibile agli eredi e deve essere presentata nella cancelleria della Corte di Appello competente per territorio entro sei mesi dall’entrata in vigore della relativa disciplina normativa”.